Festa nomade del ramo dell’albero; è una tipica rappresentazione del contado toscano che viene eseguita a Carnevale e talora a Quaresima. In uso specialmente nel Senese, non è ignoto ad altre regioni della Toscana, dove equivale alle farse carnevalesche, e in parte è affine ai "magliazzi" e alle "befanate" profane. Prende il nome da un arbusto fronzuto, adorno di agrumi e fiori, campanelli e nastri, detto "bruscello", che è il fulcro dello spettacolo. Il Bruscello nella credenza popolare ha valore proteptico (favorisce la fecondazione) e apotropaico (scaccia gli spiriti maligni). Motivo essenziale del Bruscello drammatico è la contesa per la mano di una ragazza, che, complicata da baruffe, lamenti, convegni segreti, ostacoli dei genitori, termina con le nozze. La rappresentazione è agita da uomini che recitano anche le parti femminili (con guanti bianchi di filo per ingentilire le mani). I costumi sono sommari e grossolani, la maschera accentua il carattere carnevalesco. In una radura o in una piazza, di rado in sala privata, gli attori fanno azioni processuali con merce e canti, disponendosi attorno al bruscello su un palco apposito. Poi il bruscellante canta il prologo e di volta in volta l’attore che recita viene al proscenio. Il testo, di regola, è in ottave incatenate ed è cantato su un motivo ripetuto, monotono, che tuttavia lascia che l’attenzione si concentri sulle parole. Fra i canti dei personaggi, intorno al bruscello vi sono danze al suono di un ritornello strumentale (un canto popolare o una canzonetta in voga). L’orchestra è di pochi strumenti a fiato o a percussione. Il poeta autore o suggeritore sta dietro ai bruscellanti, dà il tono, segue il tempo.