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Origini

 

L’origine del Maggio drammatico si inserisce nel complesso quadro delle feste e dei riti primaverili, manifestazioni che caratterizzano molte delle culture occidentali. Secondo quanto affermato da Toschi [Toschi, Paolo (1893-1974)] «tutte le forme drammatiche da cui si sviluppa il nostro teatro hanno origine dal rito» [Cfr. Toschi P., Le origini del teatro italiano, Bollati Boringhieri, Torino, 1976, pag. 7.] e dai momenti più significativi delle cerimonie religiose.

Le feste ed i riti connessi all’inizio di un ciclo stagionale sono numerose, in modo particolare quelle legate all’arrivo della primavera e della bella stagione;  il risveglio della natura dopo la rigidità dell’inverno, infatti, rinvia all’idea di riproduttività, di vitalità e di rinascita. Questo perché, com’è noto, l’uomo è sempre stato strettamente dipendente da questi processi e dallo svolgersi del ciclo naturale, soprattutto (ma non solo) in tempi remoti. «In una società primitiva morire di fame può non essere un modo di dire» [Cfr. Piccinni G., I mille anni del Medioevo, Bruno Mondatori, Milano, 2000, pag. 158.], considerando che «la maggior parte della gente si manteneva con il lavoro della terra»; [Ivi, pag. 257.] in questo quadro generale è facilmente comprensibile il fatto che l’arrivo della bella stagione fosse accolto con tanto fervore e accompagnato con riti e feste di benvenuto. Queste antichissime forme culturali furono praticate sin dai primi popoli europei, interessarono la cultura classica (della quale si possono ricordare le Floralia romane e i culti latini della dea Maja) e attraversarono tutto il Medioevo arrivando fino ai giorni nostri, mutate in forme di tradizione che mantengono elementi comuni al passato. 

In queste cerimonie di benvenuto e nelle pratiche religiose assumeva una posizione centrale il culto degli alberi e del bosco; basti pensare ad esempio all’Europa medievale che era coperta da foreste immense le quali rivestivano posizioni fondamentali nella vita e nella quotidianità della popolazione [Per approfondimenti ulteriori, cfr. Frazer J. G., The golden bough, a study in magic religion, Macmillan, New York, 1922. Trad. it.: De Bosis L. A., Il ramo d’oro, Studio sulla magia della religione, Einaudi, Torino, 1950, pp. 175-191.]. I culti arborei sono presenti tuttora in numerose regioni europee, e le forme celebrative ad essi associate appaiono fedeli nelle linee fondamentali ad uno schema fisso. L’elemento che caratterizza tutte queste feste primaverili è l’albero, esso viene rappresentato solitamente da un ramoscello fiorito, simboleggiante fertilità e rinascita, detto Majo o Maggio. Dalla centralità assunta dall’albero si deduce l’importanza, già precedentemente dimostrata, della natura e del suo rifiorire, dalla quale dipendeva totalmente anche il decorso della vita umana. Frazer spiega che queste tradizioni, legate alla vegetazione e alla sua rinascita, miravano a portare nel paese e nella propria casa lo spirito fecondatore della vegetazione risvegliatosi con la primavera; esse assunsero man mano il carattere di festività in moltissime aree europee [Cfr. Frazer J. G., Il ramo d’oro, Studio sulla magia della religione, op. cit., pp. 194-232.]. Letture di questo tipo ci aiutano a comprendere che molte delle tradizioni attuali, sebbene possano essere mutate in alcuni aspetti, rimandano in maniera diretta ai miti e ai riti agrari delle antiche popolazioni contadine.

Tra i rituali legati ai culti di celebrazione della primavera spicca il Maggio, presente in diverse forme fra le quali emergono il Maggio lirico e il Maggio epico-drammatico. Il Maggio lirico si distingue in canto di Questua e in Maggiolata; questa diversificazione viene effettuata sulla base delle sue finalità e dei suoi contenuti che possono essere profani o sacri.

«Dalle canzoni di Maggio, proprie del Maggio lirico sacro e profano, che trovano la loro origine nei riti di fertilità, è derivato il Maggio drammatico, certamente influenzato anche da altre forme drammatiche come le Sacre Rappresentazioni, i riti nuziali (propri del Bruscello toscano), le danze armate come la Moresca» [ Cfr. Vezzani G. (a cura di), La tradizione del maggio: mostra documentaria, Tecnostampa, Reggio Emilia, 1983, pag. 35.]. Secondo D’Ancona «Il Maggio pel nostro popolo delle campagne, ha quello stesso carattere solenne che aveva pe’ Greci la Tragedia […] e il contadino assiste al Maggio con attenzione, con raccoglimento, e quasi con devozione. Ei va al teatro non tanto per soddisfare il senso, quanto per nudrir la fantasia e innalzare l’anima» [ Cfr D’Ancona A., Origini del teatro italiano, vol. II, Bardi Editore, Roma, 1966, pag. 334.]. A parere di D’Ancona, il Maggio drammatico risalirebbe almeno al XV secolo, al tempo della Sacra Rappresentazione, dalla quale sarebbe stato particolarmente influenzato,  infatti «il popolo del contado – sembra – si compiacesse sin d’allora al pari di quello delle città, delle drammatiche Rappresentazioni» [Ivi, pag. 343.].

Il Maggio Drammatico assume nei contenuti e nelle forme le caratteristiche di un vero e proprio spettacolo. Esso «può anche essere considerato come la rielaborazione in forma dialogica e drammatica dei racconti e delle leggende del ciclo carolingio, portate tra il popolo dai cantimpanca e nelle corti dai giullari» [Cfr. Degani, Emilia,  Bologna, 12 aprile 1952, n°1.].

   Il Maggio epico-drammatico ha sicuramente origine nella Toscana, esso arrivò anche in Emilia grazie alle numerose forme di contatto che esistevano tra i due valichi che uniscono le due regioni. Vi erano molte strade che collegavano i due versanti, tra le quali si può ricordare la "Randelli" tra Modena e Lucca e la Luni- Reggio [Cfr. Fioroni R., L’Appennino: un crinale che univa e che unirà, Estratto dal Convegno di studi storici fra i versanti del Reggiano, Garfagnana e della Lunigiana, Castelnovo ne’ Monti, 1988, pag. 310.]. «L’emigrazione dall’Emilia alla Toscana, per lavori stagionali e, soprattutto, la transumanza, rivestono enorme importanza per l’importazione di queste forme di spettacolo della tradizione popolare» [Fioroni R., L’Appennino: un crinale che univa e che unirà, Estratto dal Convegno di studi storici fra i versanti del Reggiano, Garfagnana e della Lunigiana, Castelnovo ne’ Monti, 1988, pag 308.]. A questo proposito è interessante la testimonianza di Ettore Monelli, autore di un Maggio intitolato Rinaldo Innamorato, nato a Collagna (R.E.) il 05/06/1907, morto il 21/07/1984:

 

«Ho cominciato a tredici anni a scrivere poesie. Ero pastore. Siccome la nostra famiglia andava in una fattoria in Toscana nel 1917 io andai con loro dietro le pecore. Mio nonno materno Francesco Monelli era emigrato, leggeva molto, specialmente la Divina Commedia e la Gerusalemme Liberata che sapeva a memoria […]. Ho incominciato a scrivere poesie da ragazzo, dopo di aver sentito cantare i cantastorie in Toscana. Ho concorso ad un premio di poesia  Boretto, ma le mie poesie non sono piaciute perché troppo rimate. Vengono invece apprezzate in toscana, perché i Toscani ci tengono alla rima. Quando facevo il pastore camminavo anche otto giorni, dormendo a paglia. Ogni giorno si percorrevano 25-30 chilometri. In pianura c’erano gli stazzi. In cambio di un po’ di latte i contadini ci davano la cena. Sino al 1923-24 si andava sempre a piedi, poi, arrivati a Castelnovo Garfagnana, caricavamo le pecore in vagoni ferroviari e insieme arrivavamo fino a Camprigilia marittima, in provincia di Livorno» [Cfr. AA. VV., Il Maggio drammatico, una tradizione di teatro in musica, a cura di Magrini T., op.cit., pp. 382-383.].

 

Materiale tratto dalla tesi di laurea di Giordana Sassi: "Comunicare la tradizione:

la figura di Orlando e dei paladini carolingi nei Maggi drammatici dell’Appennino Tosco-Emiliano"; A.A. 2004/2005.

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